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Io corro da solo

Io corro da solo

 

 


di Ennio Martignago

Il titolo di questo articolo parafrasa un noto film di Bertolucci che metteva in scena il rapporto dello scacco della gioventù e dell’impotenza malata della vecchiaia. Entrambe le età sono pervase da una falsa ritualità di comunanza e da una profonda condizione di solitudine. Lo stesso sta verificandosi nel modello di sviluppo del sistema capitalistico occidentale e quindi delle nostre aziende. Non c’é continuità fra le esperienze del passato e il rinnovamento. Come in un racconto di Borges, dove a un impero burocratico ed immorale, i cui cartografi nella loro presunzione erano arrivati a fare delle mappe grandi quanto il territorio stesso, succedette un dominio vandalico che bruciò assieme alle carte, i cui brandelli sono ancora trasportati tristemente dal vento del deserto, tutta la cultura dei predecessori, i nuovi manager con il loro pragmatismo sommario stanno buttando -come si suol dire- il bambino con l’acqua sporca.

Le aziende di ieri, quelle dei boiardi, oggi pensionati di extra-lusso (e magari anche azionisti), non possono certo essere additate come modello etico o di efficienza. Sicuramente clientelismi, raccomandazioni e diseconomie erano fenomeni all’ordine del giorno. Alcuni di questi sopravvivono ancora oggi e, mutatis mutandis, con altri nomi e forme sono destinati a crescere nel mondo di domani. Tuttavia quelle aziende avevano al proprio interno una cultura di scambio, una socialità e condivisione in genere felice. Il lavoro poteva essere discusso e le persone vivevano in un’ambiente amichevole che rappresentava l’altra faccia della famiglia. Come la scomparsa della dialettica dei blocchi nella politica internazionale ha snaturato entrambe le culture creando ambienti spuri, cosí l’esasperazione del concetto di lavoro come creazione di profitto per il profitto sta distruggendo la cultura del lavoro. Stiamo ereditando questo modello dagli Stati Uniti che vantano un’abbassamento radicale del tasso di disoccupazione, a detta di alcuni invidiabile per quasi tutta questa vecchia Europa. Questo risultato non é certo un miracolo: é bastato fare abbassare in maniera proporzionale il potere d’acquisto delle fasce medio basse, evitando di compromettere l’escalation del capitale di pochi. Negli USA il rapporto fra il piú povero e il piú ricco é passato in pochi anni da 1:13 a 1:250. Hanno reinventato la schiavitù, insomma. L’enfasi ossessiva sul profitto dell’azionista che predomina nella riorganizzazione delle imprese appartiene a questo tipo di cultura. In assenza di dialettica politica questa é l’unica logica possibile. Non si può fare altrimenti! Noi europei stiamo scoprendo che anche il mercato degli esuberi (sull’esempio del florido mercato delle scorie e del riciclaggio dei rifiuti) può essere un business che fa contenti i politici e soddisfa l’azionista. D’altronde le alternative, disoccupazione immediata, cassa integrazione…, sarebbero solo soluzioni peggiori. Anche la disoccupazione differita può essere ragione di interessi.

Ecco quindi le nuove imprese: la linea, esasperata da un carico di lavoro sempre piú pressante in condizioni di assenza di risorse e di margini di autonomia e di investimento, diventa sempre meno tollerante verso la tecnostruttura e le funzioni di servizio, accusate di non essere produttive e di fare chiacchiere e norme inutili mentre gli altri non hanno tempo di respirare. Le funzioni a loro volta, sempre piú povere di competenze e di potere di intervento diretto nelle scelte operative, vivono la separazione, l’impotenza e l’inutilità professionale come un’ingiustizia della nuova organizzazione.
Le nuove strutture aziendali, come quelle della nostra azienda da poco approvate dal governo, sono centrate esclusivamente sul core business, evitando il costo parassitario delle sovrastrutture. La linea delle organizzazioni preesistenti (come la nostra Distribuzione) guarda con invidia all’organizzazione dei nuovi. “Come sarebbe bello fare sparire tutti questi livelli di supervisione!”, pensano, mentre si attardano a chiudere i lavori dopo una giornata passata senza neppure un momento di tranquillità per pensare. “Noi lavoriamo senza respiro, mentre gli altri speculano su di noi senza neppure conoscere i nostri problemi”. “É vero”, dicono gli altri, “ma dovrebbero trovarlo loro il tempo per pensare”. E qualcuno si azzarda a dire che, se non possono farlo al lavoro, lo dovranno fare a casa. Una tale “arroganza” va punita e la Direzione o, come la chiamano oggi, la Holding li va ad accontentare, costringendo le Società o Divisioni a pagare care eredità sovrastrutturali come i servizi.
Mentre tutto ciò si verifica, da fuori dell’azienda operai extracomunitari che lavorano in ultra-subappalto guardano ai signori della linea interna e pensano: “Noi lavoriamo senza respiro e per pochi soldi a migliaia di chilometri dalle nostre famiglie, mentre gli altri hanno stipendi profumati e prendono premi per venire a speculare sul nostro operato”. E la Direzione raccoglie tutto questo e spinge sull’outsourcing (stimolando magari anche gli interni a consociarsi per diventare partner esterni). Quelli che neppure riescono ad entrare in ultra-subappalto, poi, si vendono i reni e tacciono.
Tutto questo in onore dell’azionista (magari quello del nocciolo duro: i soliti noti). Cosí va il mondo! Anche della Direzione fra qualche anno, ad azionista soddisfatto, probabilmente nessuno si ricorderà piú.
Fintanto che questo non avverrà, proviamo a pensare a delle alternative. A delle funzioni efficienti, capaci di pensare e di dare soluzioni tecniche e di creare dialettica e comunicazione interna in grado di sviluppare una cultura del lavoro e dell’uso delle risorse e del tempo soprattutto per chi opera nella linea. Ad una linea che sia meno concentrata sull’operatività “stupida” dell’emergenza in modo da ricavare il tempo per pianificare l’attività e sviluppare la professionalità. Ad una Holding che bilanci il piú possibile gli interessi dell’azionista (che vuole arricchirsi) con quelli del paese (che vuole la garanzia di un’impresa elettrica forte) e della popolazione aziendale (che vuole lavorare in un ambiente sereno, pianificando lavoro, ruolo e professionalità in un futuro in cui esserci per proseguirlo e non solo per gli speculatori di borsa). Questo é possibile? Forse sí, se solo si investisse un po’ meno sul breve termine e un po’ di piú sul medio-lungo, se si mettesse l’efficacia fra i costi necessitati dell’efficienza. Se si comprendesse che solo il fatalista malavogliano non ha altra alternativa che obbedire per non affogare, anche se sa che, comunque vada, finirà annegato. Se tutti pensassero al mondo che lasciamo ai nostri figli, comprendendo che la solidarietà e la convivialità (come diceva Illich) sono condizioni irrinunciabili per la qualità della vita, non sostituibili da nessuna forma di ricchezza. Che la vita si trova sempre piú fuori dal pensiero dell’efficienza operativa decerebrata. Che sempre piú persone preferiscono vivere con meno oggetti e risparmi, ma vivere meglio e di più. Per poi fare degli esempi piú vicini a noi, occorrerebbe che Direzione, Funzioni e Linea smettessero di pensare che la morte degli altri é l’unica garanzia del proprio guadagno e cominciassero ad esigere dall’altro il cambiamento atteso.

La cultura della mediazione e della dialettica é la piú avversata dal liberismo capitalistico estremo nello stesso modo in cui é combattuta dai brigatisti. Se Menenio Agrippa fosse vissuto oggi sarebbe stato giustiziato da un nucleo armato plebeo o ridotto ad accattonare dalle lobbies capitalistiche patrizie. E qualcuno pensa che sarebbe stato meglio cosí.

Allora io corro da solo, fra delusioni giovanili e impotenze senili.
Corro da solo senza un’anima che mi guardi, che mi dica se ciò che faccio è male o bene; nessuno che mi mostri quello che ha fatto lui, o che prenda a discutere del lavoro comune o dell’azienda a cui si apparterrebbe.
Corro da solo il mio rally fermandomi sempre meno, su auto bollenti e rumorose dai sedili di ferro, dopo avere licenziato il navigatore in modo da avere tutta la gloria per me e rendere sempre piú soddisfatti gli spettatori sugli spalti, affamati dello spettacolo che solo la sofferenza e la morte possono offrire, e per arricchire un team delle corse fatto di gente che neppure conosco.
Io corro da solo, pigiando a fondo sull’acceleratore, ebbro della vertigine del mio destino che mi aspetta dietro una qualsiasi di quelle curve e che ora assorbe del tutto la mia dolorosa mente stanca.
Io corro da solo, e la velocità cancella il mondo attorno e la vita davanti.