” Noi siamo quel che è rimasto dopo le nostre scelte…”
Questo è forse il motivo per cui siamo portati ad imputare tanto peso al passato e, non appagati, a ricercare in ipotetiche vite precedenti le ragioni del nostro essere di come siamo al presente, al di la del reale ed importate contributo terapeutico che lasciano le terapie d’ipnosi regressiva.
I nostri valori, le nostre credenze, sono frutto di esperienza, rientrano tra le nostre conoscenze e come ogni esperienza tendiamo a volerla mantenere e riprodurre, cercando di applicarla come sistema di comprensione per ogni nuova cognizione.
Per conoscere abbiamo bisogno di modelli, senza non siamo in grado di farlo; i nostri modelli sono la base delle nostre spiegazioni e conoscenze.
Non si apprende nulla di nuovo senza la modificazione dei modelli dai quali generiamo la nostra esperienza.
Conoscere è cambiare, cambiare è lasciare, decidere, dividere, modificare la metodologia dalla quale dipende la nostra consapevolezza.
I modelli che apprendiamo da bambini sono la base da cui partono le nostre conoscenze; la nostra intelligenza si sviluppa partendo da questi, tutto può originare da semplici matrici apprese da bambini, dalle quali si è poi sviluppato il nostro mondo e le sue regole. Le nostre conoscenze partono da come siamo stati per farci diventare come saremo, infanzia ed adolescenza lasciano un segno indelebile nell’adulto, introducendolo in un flusso di potenzialità che va ad accrescere l’idea che abbiamo di noi e della nostra identità.
L’ipnosi si deve imparare da bambini!
Portando l’attenzione sui processi d’apprendimento è bello notare come ogni forma d’apprendimento sia una specie di evoluzione per l’individuo. La crescita è un’evoluzione e dunque è strettamente collegata ad esso.
E’ fondamentale, dunque, pensare all’apprendere come ad un processo di adattamento; la crescita è di per sé un insieme di cambiamenti adattativi dell’individuo alla vita.
La trance ipnotica intesa come modificazione dello stato mentale è la migliore risposta di adattamento per l’individuo; permette di apprendere, aprendo il canale percettivo ed abbassando la critica.
L’attività creativa del nostro cervello risulta sempre più marcata, rispetto agli elementi di realtà condivisi con le altre persone; noi immaginiamo prima di percepire ed influenziamo completamente ogni percezione, attraverso il mondo della relazione con gli oggetti e con le persone, modificando con le nostre aspettative ed i nostri desideri l’intero mondo di realtà.
Difficile considerare il sottile diaframma che divide il sogno dalla realtà, tanto che potrebbe risultare più semplice e corretto considerare la realtà come un sogno condiviso con gli altri.
Noi siamo continuamente influenzati dal modo in cui anticipiamo gli eventi (G. A. Kelly). Se pensiamo alla nostra immagine del mondo, questa è prodotta dal nostro cervello utilizzando tutti gli input percettivi che si trova a possedere, usando al contempo i dati incamerati nella memoria e tutti gli elementi collegati alle esperienze avute in precedenza. Pur portando con noi l’idea di realtà condivisa, ogni nostra esperienza risente tantissimo di come ci siamo immaginati quello che sarebbe potuto essere, da come immaginiamo come sarà.
Considerando l’esperienza dell’uomo, possiamo dire che ogni realizzazione umana passa attraverso due precise fasi: la prima è il costruire un’immagine, l’immaginare una situazione ed i suoi sviluppi; la seconda è collegata alla presa di coscienza o consapevolezza della situazione. Non sempre però si è in grado di possedere sufficienti esperienze da poter considerare l’immagine e, dunque, la conseguente consapevolezza, la fase preparatoria alla possibilità di realizzare un’esperienza; è una fase particolare e dal momento che l’esperienza ancora non esiste, dev’essere inventata. Per poterla attuare è necessario fare finta che possa realizzarsi e questa finzione permetterà di immaginarsi l’esperienza, rendersi consapevoli, fino a realizzarsi (McGill).
Il bambino conosce molto bene le circostanze necessarie alla realizzazione di qualunque esperienza, l’adulto se n’é dimenticato. Già all’età di due anni un bambino impara a far finta, è in grado di fare come se fosse, da quel momento in poi il suo apprendimento accelera permettendo grandi realizzazioni attraverso continui lavori di immedesimazione ed emulazione, finge per poter essere.
L’intelligenza si sviluppa attraverso dei picchi discontinui, non si accresce in un processo graduale; il bambino utilizza l’intelligenza per necessità ed in base alle situazioni che si trova ad affrontare mette alla prova la sua capacità di adattamento, accresce la sua capacità analitica, attraverso la raccolta di dati sensoriali e la capacità elaborativa, sviluppando in un primo tempo un’intelligenza concreta, per poi arrivare ad affrontare lo sviluppo dell’intelligenza astratta, ipotetico deduttiva; qui si fissano le basi del pensiero analitico, dei suoi sviluppi, dei limiti e delle possibilità ad esso collegati.
Ogni comportamento è come collegato ad una sequenza di operazioni, parte delle quali sono analizzabili dal punto di vista della consapevolezza della persona, fino ad arrivare a prevedere procedure e liste di comandi nelle quali ogni persona è impegnata a dare la propria disponibilità, se desidera raggiungere la propria realizzazione.
Fin da bambini si apprendono e si memorizzano metodi, procedure e listati di comandi; fin da bambini si apprende l’ipnosi, si sviluppano stati mentali che vengono mantenuti come riferimenti collegati alla vita stessa. Viene da sé quanto sia importante tutto ciò che si lega alle esperienze durante le fasi evolutive, le fasi di apprendimento di ogni individuo, in ogni momento della vita, con specifico riferimento alle prime fasi di sviluppo dell’intelligenza concreta ed ipotetico deduttiva.
Lo strutturarsi dell’esperienza, dunque, crea un insieme di limiti e possibilità per la persona che nella complessità dell’esperienza rimangono strettamente collegati tra loro, rendendo impegnativo ogni tentativo di miglioramento delle proprie possibilità, a scapito dei limiti ad esse collegati.
“Il fine di tutta la nostra esplorazione è quello di arrivare là dove siamo partiti e di conoscere quel luogo per la prima volta”. (T. S. Eliot).