Rompicapo estivo di Marco Chisotti.
Voglio provare a fare un salto fuori dal conosciuto attraverso i livelli della conoscenza, userò l’idea dell’osservatore, noi stessi nella veste di esperti in relazioni d’aiuto, ed userò alcuni pensatori a me cari. Per iniziare prendiamo in considerazione le “Osservazioni sopra i fondamenti della matematica” che Wittgenstein scrive dal suo livello filosofico.
Le regole di inferenza logica, il capire ed il capirsi, l’intendersi, sono arbitrarie e modificabili e non sono eterne e immutabili, sono regole di un gioco linguistico e danno senso ai segni, non sono, quindi, né vere né false, anche se i nostri pazienti son pronti a giurare su ognuna delle affermazioni di cui si circondano.
In modo analogo, della successione dei numeri 1,2,3,4,…. non si può dire che è vera, ma che è utile e che viene usata.
Contare è un uso. La correttezza del calcolo è temporale, non eterna, “Basta che funzioni” mi verrebbe da aggiungere.
La logica precede la verità, non la rispecchia ci suggerisce Wittgenstein, la matematica è logica perché “si muove tra le regole del nostro linguaggio” (Wittgenstein). Le profezie si autoavverano e son gelosamente conservate dai nostri sensi, a livello di percezioni o di vere e proprie emozioni, che si premurano di farceli vedere e rivedere all’occorrenza. La costrizione logica è una costrizione psicologica, linguistica, sociale. Ci convince, perché concordiamo sui suoi risultati, ma tale concordanza, come nel calcolo, è dovuta all’addestramento, all’uso di una tecnica, ad un abitudine, ogni stereotipia di pensiero è un abitudine, da cui difficilmente usciamo e difficilmente ci difendiamo, perché ci appartiene o gli apparteniamo, la memetica ci suggerisce che i memi, le idee, son come i geni per il DNA, portano un comando, si impongono all’ospite, le idee si impongono a chi le pensa, la conoscenza non ci lascia indifferenti, la conoscenza obbliga.
Le regole di inferenza logica agiscono come comandi, inducono a proseguire in un certo modo, ci mandano in una trance cognitiva. Una inferenza logica corretta, un ragionamento, vuol dire ‘condotta in conformità alle regole’ ; ma tali regole sono poi a loro volta corrette ? Come e chi stabilisce la concordanza sulla ‘concordanza’ sulle regole? Per rispondere a tali questioni bisogna uscire dal sistema di riferimento, l’osservatore, sono problemi che esulano dalla logica e dalla matematica.
Consideriamo, ad esempio, i colori. “E’ verde”. Ma è vero che è verde ? “Le persone lo chiamano verde”. Wittgenstein lo chiama “i limiti dell’empirismo”, il senso comune è pieno di empirismo, frutto a sua volta della logica dei nostri sensi e della nostra intelligenza, non non vediamo di non vedere, vediamo sempre, come nell’esperienza del punto cieco, il punto di immissione del nervo ottico nel bulbo oculare, non non vediamo il punto cieco del nostro occhio perchè il nostro cervello, la nostra intelligenza interiore, provvede a compensare il punto cieco, così non vediamo di non vedere ma vediamo sempre.
Non ci poniamo troppe domande perché ci porterebbero solo a nuove tautologie, enunciati indimostrabili autoreferenziali, l’esempio bello di una tautologia é quello dell’esame di Medicina del secolo passato dove al candidato veniva chiesto: “che cos’è l’oppio?” e lui, dall’alto della sua scienza, doveva rispondere: “l’oppio è una sostanza che contiene il principio dormitivo!”, creando così una perfetta tautologia che non spiegava nulla.
Wittgenstein ridefinisce la ‘matematica’: essa non è che “un miscuglio variopinto di tecniche di prova”; e’ eterogenea e non ben delimitata. La matematica è normativa, forma una rete di norme. “Il matematico non scopre, inventa”. Potremmo dire perfettamente la stessa cosa per la psichiatria o la psicologia, o la psicoterapia, essa è normativa, forma una rete di norme. “Lo psicoterapeuta non scopre, inventa”.
Wittgenstein ridefinisce, quindi, il compito della filosofia : essa deve occuparsi delle regole e delle istituzioni dei ‘giochi linguistici’ di cui constano la matematica come il linguaggio quotidiano.
Mi sento di sostenere che la psicoterapia, e le relazioni d’aiuto, devono occuparsi delle regole e delle istituzioni, dei ‘giochi linguistici’ di cui constano terapeuti, counsellor, o di cui vivono i pazienti nel loro linguaggio quotidiano.
Tutto è frutto di osservazioni e descrizioni, il mondo è frutto delle descrizioni fatte da un osservatore, è l’osservatore che stabilisce i confini e la gerarchia, e sceglie quale livello studiare, adottando un particolare punto di vista, modificando tale punto di vista, egli ristruttura i confini e i rapporti tra le persone e dentro il proprio mondo, così fan tutti e ognuno nelle proprie vesti, siam tutti e sempre o osservatori o osservati, chi osserva cosa, chi, dove, come e quando è da stabilirsi di volta in volta.
La considerazione, da parte dell’osservatore, della propria osservazione, gli mostra la relatività del proprio punto di vista rispetto a tutti quelli possibili, ma gli mostra anche l’ineludibilità dei vincoli che l’essere un sistema biologico, psicologico e sociale pongono alla possibilità e capacità di osservazione.
Ora come nasce, si costruisce un osservatore, come esiste l’idea dell’apprendimento che permette di diventare osservatore, dove si genera la sua autoreferenzialità a cui farà riferimento per dichiararsi psicologo, Counsellor, persona dedita alle relazioni d’aiuto?.
L’apprendimento, sulla scia dell’epistemologia genetica di Piaget, viene definito come un processo autonomo e creativo, di auto-organizzazione del sistema cognitivo del soggetto conoscente, il nostro osservatore, o noi stessi se preferiamo nelle vesti di osservatore. Il senso, il significato e la conoscenza sono frutto di una attività di produzione interna in base agli stimoli e alle perturbazioni provenienti dall’esterno, ci insegnano Maturana e Varela in autopoiesi e cognizione, non possiamo più parlare di ‘trasmissione’ della conoscenza, ma della sua costruzione da parte del soggetto conoscente.
La conoscenza è un concetto complesso, multidimensionale (biologico, sociale e culturale), caratterizzato dall’incertezza e dalla incompletezza ci sottolinea Morin. I processi dell’apprendimento e della conoscenza sono, infatti, strutturalmente inconclusi, alle volte inconcludenti, e forse è ciò che cominciate a pensare nel leggere questo mio articolo, ma vi chiedo di seguire ancora questo rompicapo.
Lo stesso concetto di ragione esce dalla dimensione della universalità atemporale e diventa concetto plurale, come molteplicità di razionalità che si definiscono nel processo di costruzione delle conoscenze. La razionalità perde il fondamento logico della decidibilità bivalente (vero/falso), una realtà in cui era facile decidere, i buoni di qui i cattivi di la, per andare verso una logica polivalente che implica sempre una scelta soggettiva e arbitraria, si è sempre più soli nelle nostre decisioni, tanto più quando prendiamo i panni di un osservatore, ci interessiamo dei problemi degli altri, ci prendiamo l’impegno di seguire e poi guidare, come ogni processo ipnotico, ci prendiamo la responsabilità della guida, qualunque possa essere.
La razionalità è dunque storicamente condizionata e dipendente dalle modalità di osservazione, dal metodo seguito dall’osservatore.
Prendiamo ancora in considerazione A.Einstein, con la “Teoria della relatività”, è interessante perché ci induce a considerare la realtà in cui viviamo, come uno spazio a quattro dimensioni, dove la quarta dimensione è costituita dal tempo, le quattro dimensioni non possono essere considerate separatamente, anche se il senso comune e la logica della causa effetto ci impongono di considerarle separatamente.
Continuando sulla logica dell’inseparabilità del tempo e dello spazio consideriamo il concetto di “movimento”, con esso si intende il movimento di qualcosa rispetto ad un’altra cosa, non esiste movimento senza un riferimento fisso, come non esiste identità senza un identità di riferimento, l’osservatore per intenderci, punto fermo ed osservatore sono presi come punto di riferimento; quest’ultimo può, però, essere in movimento a sua volta, può essere l’osservatore a muoversi rispetto all’osservato, implicando il movimento all’osservato non al proprio movimento, (di cui non può avere un osservazione “neutrale” se non ipotizzando l’osservatore di un osservatore di un osservato, il che rende impossibile stabilire chi osserva chi), la classica proiezione, dove io provo un sentimento ma lo leggo come tuo e lo implico a te. Lo spazio e il tempo sono relativi perché dipendono dal movimento del sistema di coordinate utilizzato, così l’osservato e la sua vita ( la sua storia), dipendono dal mondo interno dell’osservatore, cosa può capire, cosa può percepire, come nella Teoria della relatività ristretta di Einstein.
Spazio e tempo, come l’osservato, il paziente, e l’espressione temporale di se stesso, la sua identità, il racconto della sua vita, dipendono inoltre, dalla presenza e dai valori dei campi gravitazionali che influenzano il sistema di coordinate, il mondo esterno dell’osservatore, la famiglia, la società, proprio come per lo spazio ed il tempo nella Teoria della relatività generalizzata di Einstein.
Queste teorie e le loro implicazioni mettono in crisi un presupposto fondamentale della scienza in generale, e più che mai di una scienza sociologica, psicologica o psichiatrica: che esperimenti in condizioni identiche portino a risultati identici. Non possiamo, infatti, considerare uniformi e costanti lo spazio e il tempo, ed un esperimento è precisamente localizzato nelle sue coordinate spazio-temporali, così una vita ed il suo narratore, il nostro osservato, e l’osservatore esterno, noi, che osserviamo…… Ciò fa vacillare, a livello epistemologico, l’idea di una scienza che scopre leggi eterne, evidenziandone invece la dipendenza dalla storia del mondo fisico e, ad un secondo livello di riflessione, dalla storia della scienza. Viene così negata la acritica assunzione di teorie e risultati passati, che aveva permesso la continua accumulazione delle scoperte scientifiche. Nella nostra scienza terapeutica dobbiamo sottolineare la storia che portiamo dentro di noi, o meglio l’idea della storia che ci siamo fatti della nostra vita, per poter aiutare le persone, nel nostro intento di dare aiuto alle persone ad uscire dalle loro trappole, come suggeriva Wittgenstein nel suo intento di fare filosofia.
— Post From My iPad Marco Chisotti
https://www.chisotti.com
Psicologo Psicoterapeuta Ipnosi terapeuta
cell. 3356875991 / 0119187173