La forza della narrazione.
Son stato da poco a visitare la Biennale di Venezia, per me è sempre bello tornarci, ogni volta assaporo il piacere della diversità, è facile dire siamo tutti diversi, ma poi ci comportiamo troppo come tutti, alla fine si perde il gusto della diversità, alla Biennale non ci si sforza a cogliere la diversità ed in questa non solo il forzatamente diverso, il macroscopicamente differente, ma il sottile e delicato modo d’essere veramente diversi.
Trovo nelle stesse letture la mia diversità, le ripeto più e più volte quasi a rassicurarmi e trovo il fascino della differenza.
L’unico modo di esistere è attraverso la consapevolezza, la forma narrativa che diamo al nostro esistere attraverso l’azione, parliamo di ciò che che facciamo e facciamo ciò di cui parliamo.
Forse è tutto qui, e lo sarebbe in fondo se non ci fossero le emozioni, parliamo di ciò che abbiamo fatto e ci emozioniamo, pensiamo a ciò che faremo e ci emozioniamo, non sempre non solo naturalmente, ma siamo in continua attesa del piacere di ritrovarci nella nostra consapevolezza emotiva per come è bello esistere, o come è importante, o più semplicemente per esser protagonisti del nostro vivere e raccontare la vita.
Il costruttivismo torna preciso ogni volta che penso a qualcosa di creativo, l’arte che porta in palmo la creatività è un un veicolo continuo di novità e diversità, mi piace pensare al costruttivismo perché mi apre gli scenari del possibile, mi rende interessante ogni momento della mia percezione, sempre orientata a cogliere quel diverso che stimola, interessa, piace.
Quando sai che ciò che pensi va a influenzare ciò che vedi hai un grande potere a disposizione, ed io ho notato nel corso degli anni di cadere sempre meno nel solco lasciato dai miei pensieri, mi vien da dire dalla salute mi guardi Dio che dai presupposti me ne guardo io!
Si la salute rappresenta per me l’incontestato assoluto, proprio come un Dio, in cui non credo ma che uso per rappresentarmi il complesso ed ingovernabile infinito, sarà per le incomprensibili esperienze personali, sarà perché ne ho sentite raccontare di tutti i colori, la lascio li, col più gran rispetto di chi si dedica a riequilibrare, ma purtroppo o per fortuna mai a cambiare, il corso della vita.
I presupposti son un gioco dell’intelligenza, non solo di studi ed approfondimenti, sopratutto di collegamenti ed adattamenti, sono modificabili, appartengono al mondo delle idee, e le idee, a differenza della materia, son esperienze relative, relative ad altre idee, mentre per trovare qualcosa che si avvicini alla relatività nella materia dobbiamo viaggiare all’improponibile velocità della luce, come ci suggerisce Albert Einstein.
I presupposti pur appartenendo al mondo dei convincimenti hanno il sapore del vero, li mettiamo poco in discussione, ci appartengono perché sono ciò che deve essere vero perché ciò che diciamo, sosteniamo, crediamo abbia un senso.
La forza delle parole sta nel fatto che dentro la nostra testa non ci stanno che parole, dunque idee, noi siamo fatti attraverso le parole che ci descrivono, ci danno consapevolezza, consistenza, identità.
I presupposti del costruttivismo sono visibili nella concezione secondo la quale la realtà non va considerata come un qualcosa di oggettivo, indipendente dal soggetto che ne fa esperienza, poiché è il soggetto stesso che la crea, partecipando in maniera attiva alla sua costruzione.
In base a tale prospettiva si hanno le seguenti conseguenze:
1. Le leggi di natura non vengono scoperte bensì inventate.
2. Non è possibile una distinzione netta tra colui che osserva e l’oggetto osservato, poiché si definiscono come tali attraverso la reciproca interazione.
3. Ciò che si definisce conoscenza non può essere considerata una “rappresentazione” del mondo esterno ricavata dal mondo reale, ma è una costruzione fatta dal soggetto con materiali presi al proprio interno.
4. La cognizione non è un mezzo per conoscere la realtà oggettiva, ma serve all’organismo per adattarsi all’ambiente.
5. Ciò che viene osservato non sono cose, proprietà o relazioni di un mondo che esiste indipendentemente dall’osservatore, bensì delle distinzioni effettuate dall’osservatore stesso, in seguito alla propria attività nell’ambiente.
6. La sensazione non è la rilevazione impersonale di un dato, come quella derivante dalla lettura di uno strumento, quanto piuttosto un fenomeno che coinvolge profondamente il soggetto.
Secondo l’epistemologia costruttivista il sapere non esiste indipendentemente dal soggetto che conosce, dunque imparare non significa apprendere la “verità” o la vera natura delle cose, possedere cioè una fotografia oggettiva o rappresentazione del mondo.
È una soggettiva costruzione di significato che ci permette di dare un senso alla realtà, a partire da una complessa rielaborazione interna di sensazioni, conoscenze, credenze, emozioni che non hanno in sé ordine o struttura, sulla quale orientiamo la nostra attenzione. Questo processo trova la sua cornice e al contempo il suo sfondo nel linguaggio, culturalmente, socialmente e storicamente determinato.
Nell’incontro del soggetto con il mondo non è possibile definire una distinzione netta tra osservatore e oggetto osservato, poiché entrambi si definiscono come tali all’interno del rapporto di osservazione. Non osserviamo “cose”, ma definiamo proprietà e relazioni che sono costruite a partire dalla nostra azione organizzante e questa conoscenza, che è bio-psico-socio-culturale ci serve per adattarci all’ambiente; quindi le cosiddette leggi naturali non sono scoperte bensì invenzioni e l’idea di verità perde di significato, e come ci ricorda Heinz von Foerster “La verità è l’invenzione di un bugiardo”.
L’idea di verità viene sostituita dal concetto di adattamento funzionale e di viabilità, termine coniato da Ernesto vo Glasersfeld, secondo il quale i concetti, costruiti a partire dalle regolarità che si incontrano nell’esperienza, hanno prima di tutto una funzione predittiva, sono strumentali all’azione e vengono appunto definiti viabili quando permettono di raggiungere uno scopo pratico. Noi viviamo nell’idea del mondo e della realtà e quest’idea è maturata da un lavoro costruttivo che fin da bambini ci ha coinvolti, i costrutti personali hanno delineato per noi il senso della vita.
Per comprendere il concetto di costrutto riporto direttamente un pensiero di George Alexander Kelly padre della teoria dei costrutti personali: “Un costrutto, come la stessa radice semantica lascia intuire, è l’unità elementare di discriminazione attraverso la quale si attua il processo di costruzione. È una dimensione di senso, “un asse di riferimento, un criterio fondamentale di valutazione” che può essere “esplicitamente formulato o implicitamente agito, verbalmente espresso o totalmente inarticolato, intellettivamente ragionato o vegetativamente sentito ma che, in ogni caso, permette di riconoscere due cose come simili e, allo stesso tempo, differenti da una terza. I costrutti sono le chiavi di lettura che rendono il mondo intelligibile: se non disponessimo di tali criteri di discriminazione, il fluire degli eventi ci apparirebbe indifferenziato e di conseguenza privo di significato”.
ll costruttivismo assume un approccio di carattere pragmatico e non ontologico, focalizzando l’attenzione sul processo di costruzione dei significati e della loro comunicazione.
Ritornando a G. A. Kelly “I processi psicologici sono canalizzati dall’anticipazione degli eventi”, con questo ci dice che l’attenzione è focalizzata sulla persona, intesa nel suo insieme come sistema complesso, nonché sulla natura processuale della sua vita psicologica. Attraverso il linguaggio viene evocato il senso di un continuo movimento, di un muoversi verso, guidato e intenzionato dal modo in cui il soggetto anticipa, attraverso il suo sistema di costrutti, gli eventi del mondo. La persona, così concepita, è una forma in continuo movimento. Ciò che fa sì che tale movimento non sia caotico e casuale è il concetto di anticipazione predittiva e del controllo delle ipotesi come spinta al cambiamento del sistema di costruzione personale.
Ma come è possibile la comunicazione se la conoscenza è costruzione individuale e continuo di un significato? In realtà il significato è allo stesso tempo individuale e sociale: comprendiamo il mondo attraverso la costruzione di concetti e categorie che lo organizzano, in parte li adattiamo per renderli compatibili con quelli degli altri, in parte li cambiamo per adattarli alle nostre personali aspettative, in questa complessa operazione veniamo guidati, condizionati, limitati dagli strumenti culturali che abbiamo a disposizione.
Voglio prendere in considerazione un pensatore, Erich Fromm, che insiste sullo stato di solitudine e di isolamento proprio della condizione umana, considerandole una conseguenza del distacco dalla natura e dalla progressiva conquista di maggiore libertà. A tale condizione sarebbero legati cinque specifici bisogni:
1) bisogno di relazioni e quindi di relazionarci con la vita e gli altri
2) bisogno di trascendenza (o di creatività) andare oltre all’immanente, dunque metterci in contatto col mondo interno, il nostro spirito, l’inconscio
3) bisogno di radicamento (nella natura e nel mondo) un bisogno che ci fa accorpare agli altri, alla vita, alla materia di cui siam fatti
4) bisogno di identità, costruendo e descrivendo il nostro esistere, il nostro essere, la narrazione del nostro esistere
5) bisogno di un sistema di orientamento, una guida, un fine, uno scopo, una storia in cui riconoscerci e lasciarci guidare dalle sue, che son le nostre, profezie.
L’adattamento dell’uomo alla società è visto come un compromesso tra i bisogni intimi e le richieste dell’ambiente. Il problema del rapporto tra uomo e società è ritenuto fondamentale da Erich Fromm, poiché la società è vista come qualcosa di creato dall’uomo allo scopo di realizzare la natura che gli è propria, e questa creazione è manifestata dalla nostra descrizione, dalla nostra narrazione.
La conoscenza è individuale e situata, in questo senso non è possibile condividere completamente il significato che si attribuisce ad un concetto in quanto colorito dall’esperienza personale, ma attraverso la comunicazione concordiamo con l’interlocutore quali aree di significato di quel concetto sono compatibili con l’esperienza comune. Sono proprio queste aree di compatibilità che fanno nascere la convinzione che le parole si riferiscano ad oggetti del mondo reale invece di essere astrazioni culturali. Nel linguaggio quotidiano è difficile rendersene conto, ma appare evidente quando ci spostiamo sul piano del pensiero complesso, dove siamo spesso costretti ad esplicitare e ridefinire il senso dei termini che stiamo utilizzando. Allo stesso modo non conosciamo mai completamente le altre persone, anche in questo caso ne costruiamo modelli interpretativi, che restano probabilistiche previsioni di comportamenti.
Noi ci aspettiamo ed aspettiamo gli altri, ci confrontiamo e ci confondiamo con loro, nel narrarci esistiamo ma anche deduciamo ed ipotizziamo, poi torniamo a domandarci dove stanno i confini della realtà, e questi non son chiari, non son semplici, ci chiedono impegno, rimangono nel frutto delle nostre convenevoli approssimazioni in relazione con le quali ci troviamo a vivere, dove ha molto più peso il senso comune condiviso di qualunque scienza o conoscenza.
— Post From My iPad Marco Chisotti
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Psicologo Psicoterapeuta Ipnosi terapeuta
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