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Pensieri paralleli. Marco Chisotti.

Pensieri paralleli. Marco Chisotti.

“L’ascoltatore, non il parlante, determina il significato”. Heinz von Foerster

L’individuo ha bisogno di ascoltarsi per potersi capire, ascoltare i propri pensieri è possibile solo se si esprimono ad un “altro” da noi in grado di ascoltarci. Non basta il pensiero, il pensare non è solo ma accompagnato da troppe identità oltre la nostra, il pensiero è un coro che trova difficoltà a realizzare una voce identificabile e responsabile. Ascoltare ed ascoltarsi è fondamentale per identificarsi.

Dialogare vuole dire co-costruire il significato che diamo alla nostra realtà, la quale prende forma dalla nostra posizione, dalla nostra esperienza e dalla nostra conoscenza, da ciò che abbiamo appreso, e si intreccia con quella dell’altro, cambiando continuamente e costruendo nuove realtà e punti di vista, dove la specializzazione di ognuno è solo una posizione di riferimento, un mondo possibile, e non una posizione di identificazione, di realtà, di verità.

È fondamentale bagnarsi costantemente nelle acque del dubbio diceva Edgar Morin, per il quale dubitare della realtà era un pensiero continuo, nella trappola mentale ci finiamo continuamente ci ricorda Wittgenstein, ogni affermazione non fa altro che confermare se stessa, dandogli statuto di verità. 

Il pensiero cibernetico è un pensiero circolare riflessivo e complesso, in quanto è un continuo rimando di significati che cambieranno a seconda di dove ci si sofferma, dove l’inizio della frase non è che la fine della stessa e la fine non è che l’inizio della frase, la sua complessità è il cambio di paradigmi da un’epistemologia della rappresentazione a un epistemologia della costruzione, la complessità non è nella natura ma nel codice, non nel semplice sistema osservato ma nella congiunzione del sistema osservato con quello osservante, in cui hanno posto le scelte, gli scopi, i fini dell’osservatore.

Se si prende in considerazione il counselling l’osservatore è il Counsellor, l’osservatore il suo cliente.

Ora nelle relazioni d’aiuto si deve passare da un punto di vista del controllo e della previsione ad un punto di vista del gioco, dove i presupposti che le persone mettono in gioco nella loro vita, sono i vincoli degli eventi e le strategie dei giocatori, sono le loro intenzioni, che orientano le loro decisioni, che nella loro vita condivisa in ipnosi con la loro guida, costruiscono nuovi scenari possibili.

Il Counselor passa per essere una persona che  conosce bene l’ambito in cui si vive, ma non è così, non è possibile conoscerlo in anticipo, la vita può essere raccontata e dunque spiegata solo dopo averla vissuta. Come fa a sapere cosa è buono, giusto e bello per il suo cliente?  La conseguenza di discriminazioni assolute tra il buono e il cattivo, il giusto, il falso, il bello e il brutto lo erigerebbe a giudice, fino a considerarsi come un Dio giusto, che sa tutto sulla vita.

È fondamentale per noi ricordare la nostra posizione etica di Counsellor Ipnotisti Costruttivisti: 

a) Consapevolezza che la realtà è inventata.

b) Consapevolezza che è inventata nella relazione, nel contesto, entro una comunità ed un senso comune condiviso. 

Infatti responsabilità significa vedere le nostre affermazioni, come le nostre azioni, non più muoversi in uno spazio vuoto, ma è in uno spazio causale, ricco di conseguenze logiche, dove ci rendiamo disponibili a fornire ragioni coerenti a favore di ciò che pensiamo, diciamo ed agiamo, il nostro operato ha a che fare con il controllo, la scienza a me cara che studia la teoria del controllo è la cibernetica.

In “realtà”, cibernetica deriva dal greco kybernetes, che significa timoniere, o anche governor in latino, colui che governa, che guida la nave. Il termine si riferisce alla cibernetica di primo ordine, la cibernetica che Norbert Wiener  chiamò così per definire le modalità di regolazione dei meccanismi omeostatici, dove il “timoniere” è colui che regola l’omeostasi del sistema a seconda delle informazioni che riceve dal mondo esterno. Esistono due tipi ci cibernetica, di primo e di second’ordine. 

Nella cibernetica di primo ordine i sistemi viventi appaiono simili ai sistemi tecnici o sistemi non viventi, le macchine banali, quelle che danno sempre le stesse risposte, mentre nella cibernetica di secondo ordine, la cibernetica che ci riguarda da vicino, le macchine non sono banali, i sistemi viventi non danno mai le stesse risposte, sono sistemi autopoietici, capaci di auto generare una risposta, come quella del linguaggio, dei paradossi, della logica circolare, capaci di creare il complesso mondo delle idee.

La cibernetica di primo ordine è quella delle macchine banali, dei sistemi non viventi, della logica matematica, della logica lineare.

Von Foerster ha introdotto bene l’idea delle macchine non banali, degli esseri umani, tentando di abolire il verbo “essere” e cambiandolo con il verbo “divenire”, a sottolineare il continuo cambiamento nel quale ci troviamo a vivere, vedendo il verbo “essere” la “causa” del pensiero “superstizioso”, come direbbe Wittgenstein, il pensiero lineare.

Nel momento in cui si dice “è”, si ferma tutto, si diventa onnipotenti, perché “è” è la verità. In questa epoca moderna, si sa qual è la verità, la verità sta nell’essere, e questo è alla base della logica del possesso contrapposta alla logica dell’uso frutto. 

Von Foerster parte dal presupposto che tutto ciò che percepiamo non è altro che grandi quantità di impulsi elettrici i quali vengono computati nel cervello umano, “Il mondo non racchiude nessuna informazione … Il sistema nervoso trasforma i segnali neuronali in altri segnali neuronali” Computare significa “considerare le cose insieme” Heinz von Foerster. 

Così si decise di chiamare queste macchine artificiali “computer”, macchine che mettono insieme gli impulsi che arrivano all’interno dei loro circuiti.

La nostra percezione non è in grado di darci garanzie, è basata sull’interazione tra la distinzione e la congiunzione, l’intero processo è altamente influenzato dalle nostre aspettative.

Heinz chiama in causa il linguaggio, il veicolo con il quale diamo significato a ciò che percepiamo, e che ci impegna, essendo un sistema di significati condiviso, di creare una realtà condivisa. In questo modo aumento le mie possibilità di scelta, riconoscendo che il mio linguaggio è “inventato”, frutto di una costruzione della mia mente, posso abbandonarlo, modificarlo, cambiarlo ….. il termine “possibilità di scelta” di Heinz von Foerster è da intendersi come riferito al linguaggio secondo cui ordinare l’esperienza porta a dare forma ad un mondo, piuttosto che riferito a qualcosa di “concreto”, misurabile, quantificabile, che spediste di per sè.

Se entriamo nel campo della normalità psicologica, che trattiamo nel nostro lavoro, il contesto storico-culturale incide sulla costruzione della realtà e quindi sulla definizione di ciò che è normale e ciò che è deviante. “malattia e salute non sono grandezze statiche, ma devono essere valutate di volta in volta nel loro specifico sistema di relazioni” Heinz von Foerster.

 Del resto lo stesso von Foerster disse che siamo “esseri in divenire”, cambia la società, cambia il linguaggio con cui diamo ordine logico alla nostra realtà, quello che è stato considerato “insano” da una generazione, improvvisamente diventa “sano” per un altra generazione di persone.

Heinz von Foerster direbbe che il problema è solo un problema in quanto è percepito come tale da qualcuno, altrimenti non c’è nessun problema, al pari di quanto affermava Wittgenstein quando diceva che ogni problema porta con se una soluzione altrimenti non sarebbe un problema. 

Gianfranco Cecchin, psicoterapeuta della famiglia, in accordo con la prospettiva della scuola di Palo Alto, afferma che le interazioni forniscono le opportunità e i limiti al nostro mondo, passando dal paradigma dell’energia a quello dell’informazione dove la comunicazione diventa un processo sociale in cui le informazioni vengono costruite socialmente. Con la pratica clinica, ed osservando la vita delle persone, si può notare che le relazioni, all’interno di una famiglia disfunzionale, come tra persone che litigano, sono relazioni di potere, non per mettersi in scacco l’un l’altro, e quindi avere più potere degli altri, ma nel tentativo di cercar di dare un ordine, ed un senso compiuto, alla relazione tra di loro e verso la vita, il combattere per il potere è solo uno dei tanti modi con cui la gente cerca di dare un senso al proprio vivere, questo accade sempre quando non vengono viste o non sono disponibili altre “possibilità di scelta”.

Ogni persona agisce costruendo realtà possibili delle quali ne diventa protagonista, e delle quali, alle volte, ne diventa schiavo. In questa prospettiva un problema mentale è quindi il risultato dell’interazione tra una persona e la sua realtà, fatta di valori, credenze e convinzioni. In molti casi, con la mancanza di adattabilità, risulta semplicemente un modo non viabile, ne utile, di percepire e reagire a certe realtà, come “se stessi”, gli “altri” e il “mondo”.

Quando si lavora con le persone si trattano spesso problemi irrisolvibili, le persone sono intelligenti, non si “spiaggerebbero” unicamente per un capriccio.

Le questioni risolvibili sono quelle la cui risolvibilità è assicurata dalle regole del gioco e i formalismi che si devono comunque accettare, assiomi, paradigmi ritenuti veri, come ci ricorda von Foerster, una questione risolvibile risponderebbe ad una domanda illegittima, ovvero che ha già la sua soluzione, la quale è accettata dal contesto sociale nel quale viene posta, un esempio classico proposto da von Foerster è quello dell’insegnante che a scuola chiede il risultato di un’operazione aritmetica e che, come sappiamo, porta alla banalizzazione dell’individuo, del tipo: “Di che colore è il cavallo bianco di Napoleone?”. Questioni irrisolvibili sono, al contrario, quelle che possiedono una quantità di risposte possibili. Un esempio di questione irrisolvibile è ad esempio il senso della vita o la continuazione della vita dopo la morte, ogni volta che si affronta, o si risolve una questione irrisolvibile entra in gioco la “responsabilità”. La persona che cerca aiuto, vive come un blocco, che lo porta ad avere un disagio, un impotenza, o un dolore, continua a rispondere a questioni irrisolvibili, ma in maniera disfunzionale. Le persone conoscono bene le regole del gioco, continuano ad applicarle per risolvere le “questioni” che incontrano, quando si tratta di risolvere un problema “banale” tutto funziona, ma la vita ha in serbo per noi molte “questioni irrisolvibili”, queste non hanno una risposta “banale”.

Noi lavoriamo con persone che lottano in linea di principio con problemi irrisolvibili, il tentativo di risolvere queste questioni (irrisolvibili) con le stesse regole del gioco, le regole del “senso comune” condiviso, ci porta ad usare una logica lineare dove usiamo la particella disgiuntiva “o” per metterci in una posizione che dia un senso di stabilità alla nostra realtà e che ci porti ad soluzione del problema. Troviamo le cose giuste o sbagliate, imponiamo agli altri di star con noi o contro di noi, ci sono i buoni o i cattivi, siamo vincenti o perdenti, viviamo continuamente o nel “permesso” o nel “proibito”, nelle polarità semantiche di vero o falso. 

Tutte queste soluzioni che troviamo, non basandosi su decisioni personali, ma su ciò che è la verità per il senso comune condiviso, non ci fanno star bene, è solo un modo per deresponsabilizzarci dal prendere le nostre decisioni, tutto si basa sulla realtà percepita anziché sulla coscienza di una realtà costruita responsabilmente. 

L’idea centrale che von Foerster propone, è quella di “complementarità”, (anziché della dicotomia) della definizione della realtà e della visione del mondo, e delle posizioni nelle relazioni all’interno del nostro mondo. Usando la congiunzione “e” sotto l’influenza del pensiero foersteriano, abbiamo la possibilità di tener conto di entrambe le posizioni, non che l’una neghi l’altra, così buono e cattivo, giusto e sbagliato, vincente e perdente vero e falso, ognuno è

responsabile della scelta che prenderà, della posizione che terrà nel proprio contesto relazionale, sapendo che ogni decisione, ogni risposta ad una questione irrisolvibile amplierà le possibilità di scelta, non creerà dilemmi.

La risposta ad una questione irrisolvibile non risulterà un unica possibilità di vedere il mondo, la realtà è questa o è quella, ma aprirà la possibilità a nuove costruzioni e opzioni, la realtà è questa ed è anche quella. “Noi possiamo scegliere chi diventare quando abbiamo deciso su una principale questione irrisolvibile” Heinz von Foerster.

 Ma come mai risulta difficile accettare l’idea che entrambe le posizioni sono possibili e forse persino utili? Come mai la complementarietà risulta così difficile da accettare? Questa probabilmente è una questione irrisolvibile, si sa che il prendere decisioni comporta tollerare l’insicurezza ed il disagio e bisogna saper esser flessibili, quella flessibilità che non si possiede quando si è bloccati, una flessibilità che si teme dal momento che creerebbe un ulteriore disequilibrio nella nostra vita, tale da richiedere energia e fatica per riequilibrare il tutto, la flessibilità richiede libertà e libertà richiede responsabilità, responsabilità delle decisioni da prendere, allora ci si rivolge a qualcuno di esterno che ci dica ciò che è giusto o ciò che è sbagliato, in modo da toglierci ogni responsabilità,  questo è molto umano, e noi, quel “qualcuno” esterno ai giochi dobbiamo saper ascoltare chi ha bisogno d’aiuto. 

Ma qual è la posizione da tenere in questo contesto? Cosa ci direbbe von Foerster a tal proposito?

L’uso del punto di vista dell’osservatore, il Counsellor o il terapeuta, nei processi conoscitivi implica che le definizioni di regolarità di funzionamento di una persona o di una famiglia non siano caratteristiche di quella persona o di quella famiglia, ma descrizioni dell’operatore stesso, Counsellor o terapeuta che, usando le proprie mappe, vede ciò che il punto di vista che adotta gli permette di vedere.

Nell’approccio che si ispira al pensiero di von Foerster, il Counsellor o il terapeuta diventa parte di un unico sistema con il proprio cliente, diventa un sistema complesso, che si intreccia alle azioni che emergono dalle interazioni con il cliente,  diventando così parte del loro mondo, e loro diventando parte del nostro, in una trance condivisa, fatta di implicazioni (nessi causali) spostamenti nel tempo e nello spazio, intensificazioni, dissociazioni. Costruendo insieme uno nuovo mondo.

Counsellor ipnotista e cliente danzano insieme. Come Heinz von Foerster usa dire, spiegando il principio costruttivista, si definisce uno che “danza con il mondo”, noi danziamo con i nostri clienti in una danza che emerge passo dopo passo in un divenire.

Adattarsi ai passi dell’altro significa comprendere i suoi moventi, le sue azioni e i pensieri che lo guidano. Danzare con il cliente significa anche capire in che relazioni muove i passi, come sono costruite e come vive le sue relazioni, come è cresciuto e sta crescendo. 

Il Counsellor Ipnotista muove i passi di danza con il cliente, senza farsi guidare o guidare egli stesso in una danza particolare già conosciuta, ma tentando di aprirsi a nuovi passi ed evoluzioni in cui coinvolgere il proprio cliente.

Portare i propri pregiudizi in terapia, non significa eliminarli, cosa che risulterebbe al quanto difficile, e non indica nemmeno essere neutrali, ma utilizzarli come risorsa da cui partire per aprire nuove possibilità. Quelle possibilità che possiamo definire “ipotesi” che saranno un punto di partenza per la co-costruzione di nuovi significati, e nuovi scenari di conseguenza, la co-costruzione di significati è un complesso momento relazionale, significa che si mette in comune col proprio cliente la “responsabilità” delle scelte e della realtà che verrà condivisa in quel contesto di vita. Responsabilità delle convinzioni che porta il cliente e delle nostre personali, di collocarle nel contesto giusto e al momento giusto, responsabilità che ci richiamano all’etica di von Foerster, risultato di esperienze che derivano dalla nostra personale storia, dal contesto culturale e dall’orientamento della nostra scuola di Ipnosi Costruttivista, assumendoci la responsabilità del nostro potere di costruire nel vincolo di valori credenze e convinzioni condivise, dato dal carattere relazionale che ogni costruzione interpersonale sempre comporta.

“Ciò che viene definito costruttivismo, io penso, dovrebbe rimanere semplicemente un atteggiamento scettico, Heinz von Foerster. 

Non è possibile esser neutrali all’interno di un’interazione umana, il Counsellor ipnotista condivide la relazione con i clienti facendo emergere i propri pregiudizi, con la conseguente impossibilità di essere neutrale, una neutralità che fino ad oggi era la coltivazione di una fredda posizione distaccata, al contrario, ciò che è pensata come una “neutralità” necessaria, va trasformata nella costruzione di uno stato di curiosità, in quanto la curiosità ci porta ad esplorare e quindi a creare punti di vista diversi che ricorsivamente alimentano la curiosità stessa. 

E’ proprio per mezzo di questo modo di agire, e di esplorare che emergono i significati che i clienti danno alle sollecitazioni o alle domande curiose che gli facciamo, generando un senso che può essere definito di neutralità, ma che sa di partecipazione, accoglienza e che ci fa prendere cura della persona.

Per condurre una buona relazione d’aiuto dobbiamo saper fare ipotesi, considerare la circolarità della vita, e vivere una “neutralità” curiosa verso il nostro cliente, la neutralità, utilizzata come sinonimo di curiosità, permette di costruire una molteplicità di ipotesi le quali ci permettono di vedere il modo circolare in cui le relazioni all’interno della vita sono costituite e quindi aprendo il discorso alla possibilità di fare domande circolari ed essere curiosi e perciò neutrali, in un gioco senza un fine e senza fine, solo per perturbare il sistema che possa tornare a funzionare.

La domanda da porsi in questa “terapia episodica” è di chiedersi cosa è che connette la nostra storia con quella del nostro cliente, tale da creare in noi quel determinato sentimento verso di lui, o, considerando il contrario, cosa giova al nostro cliente il fatto di creare in noi quel determinato sentimento? Lascio a voi ed alle vostre esperienze dar adito a risposte rivolte all’una o all’altra di tali domande.